17 novembre 1994
Milano, Teatro Lirico
Orlando di Virginia Woolf
Adattamento: Darryl Pinckney e Robert Wilson
Traduzione francese: Jean-Michel Déprats
Regia: Robert Wilson
Con Isabelle Huppert
Il primo avvicinamento in teatro, poi il tempo scandito del film e le pagine sospese del libro. Ma perché scrivo solo ora? La potenza dell’immagine teatrale non ha perso nulla, in dodici anni. Anche questo è un mistero. Ha dimostrato una propria verità. Ha trovato modo di attecchire e crescere.
Tre ore di monologo ininterrotto. Spazio semplice. Oggetti sospesi. Sensazioni di luce. La lingua francese fluisce come una musica. Non importa comprendere tutte le parole. Orlando è bellissima: è uomo, è donna. La voce non stona. Il corpo non stona. È il cuore che parla. È un viaggio mentale. È un continuum di parole e colori. Estrema levità e delicatezza. Racconto oltre-reale.
Ciò che è reale è l’inattesa contiguità tra il maschile e il femminile. Orlando, eterea e reale. Orlando è maschile e femminile. La sua femminilità accoglie il maschile e gli dà meravigliosa forza. Non uomo e donna, ma maschile e femminile. Non contrapposizione, ma armoniosa composizione.
Gli oggetti appesi sono leggeri, sono segni. Spettacolo di luci, colori, suoni. Le parole sono suoni. Oltre le parole. Verso una dimensione superiore: crea pace e non conflitto. Nella figura di Orlando vedo una grande pietà per la dimensione umana frammentata, per il suo limite. Le si dà un volto armonico. Amorevole sguardo che coglie la bellezza assoluta del maschile e del femminile.
Orlando è un po’ di noi: nel desiderio di andare oltre il limite umano. Orlando unifica. È superiore alla dimensione puramente fisica. Compie un itinerario mentale e spirituale. Estremamente lieve nel suo passare, attraversare. Poetico e rarefatto. Consolante e liberante. Un’armonia senza tempo, lungo secoli di storia. Dolorosa perché non può gioire di un radicamento nel qui ed ora. L’istante infinitesimale ha la sua culla in un durata che abbraccia l’uomo.
Perché Orlando è così vera? È essenziale. Pura nel suo essere maschile e femminile. È qui il suo limite. Pura nel suo trascorrere. Pura nelle sue diverse identità. Quasi glaciale in questa naturalezza, di qui il dolore e la pietà. Pietà per ogni identità che cerca riposo, che cerca pace. Orlando trova la sua dimensione nell’attraversare, nello sperimentarsi, nel mutamento. Senza abbandonare la tensione alla bellezza e l’amore per la vita.
Isabelle Huppert è il veicolo leggero di storie, di parole, di un testo che non recita, rende vivo. Non servono tanti gesti: divengono immagini, icone, come i pochi oggetti di scena. Viaggio metafisico. Tutto quanto è in scena è metafisico, anche il corpo dell’attrice, che quasi non si percepisce più. Lo si oltrepassa col pensiero.
Ecco solo alcune delle meraviglie offerte da questo spettacolo. Una messa in scena sopra le righe. Si attraversa un mistero, senza rivelarlo del tutto. Si coglie una dimensione profondamente umana. L’io è molteplice. Orlando è in pace: in ciò insegna all’uomo e allo spettatore. Insegna l’infinito, e a non averne paura. Magia del flusso poetico, scene essenziali. Il viaggio è quello dell’anima: un percorso dello spirito attraverso e oltre le vicende del quotidiano.
Sul web:
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1 commento:
ciao! bello il blog passa a trovarmi http://lunachiantelassa.blogspot.com
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